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Stato-mafia, Mangano trattò con le sue "vecchie conoscenze"

La trattativa fra mafia e Stato proseguì anche nel 1993, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. "Lo stesso Giovanni Brusca ha riferito di una missione affidata a Vittorio Mangano per potersi mettere in contatto con sue vecchie conoscenze al Nord".

A rivelarlo è stato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che ieri è stato ascoltato dalla Commissione

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Audizione davanti alla commissione Antimafia

Attentato a Falcone, Grasso rilancia: "Resta il sospetto di un'entità esterna"

"Perché il giudice non fu ucciso a Roma dove era più vulnerabile e invece furono necessari 500 kg di tritolo?"

Il procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso (Eidon)

Il procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso (Eidon)

MILANO - Dietro la strage di Capaci in cui morì il giudice Giovanni Falcone "resta il sospetto che ci sia stata qualche entità esterna che abbia ideato, agevolato oppure dato un appoggio a Cosa nostra". Ne è convinto il procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso, che davanti alla commissione Antimafia rilancia la "lettura" dell'uccisione del giudice come qualcosa di non completamente riconducibile a Cosa Nostra.

GLI INTERROGATIVI - "Non c'è dubbio che la strage che colpì Falcone e la sua scorta siano state commesse da Cosa Nostra. Rimane però l'intuizione, il sospetto, chiamiamolo come vogliamo, che ci sia qualche entità esterna che abbia potuto agevolare o nell'ideazione, nell'istigazione, o comunque possa aver dato un appoggi all'attività della mafia" ha detto Grasso. Dopo aver citato numerosi passaggi delle sentenze sulla vicenda, il procuratore nazionale Antimafia si pone e gira ai commissari un quesito: perché si passò dall'ipotesi di colpire Falcone mentre passeggiava per le strade di Roma all'attentato con 500 chilogrammi di esplosivo, collocato a Capaci. Una scelta, quella dell'attentato, che ha una modalità "chiaramente stragista ed eversiva. Chi ha indicato a Riina queste modalità con cui si uccide Falcone? Finchè non si risponderà a questa domanda sarà difficile cominciare ad entrare nell'ordine di effettivo accertamento della verità che è dietro a questi fatti". In precedenza, Grasso aveva ricordato che inizialmente Falcone era in un elenco di obiettivi da colpire a Roma, elenco che comprendeva, oltre al magistrato, il ministro Martelli, il giornalista Barbato e Maurizio Costanzo. Oltre a fare i sopralluoghi per colpire Costanzo, i mafiosi a Roma frequentavano noti ristoranti per verificare se effettivamente il giudice vi andasse a cena. Ad un certo momento, nel marzo 1992, Sinacori (il mafioso che eseguiva i sopralluoghi) va a Palermo e in quella sede Riina gli dice che non c'è più bisogno di colpire Falcone a Roma, perché "abbiamo trovato qualcosa di meglio".

 

27 ottobre 2009(ultima modifica: 28 ottobre 2009)

 

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Stato-mafia, Mangano trattò con le sue "vecchie conoscenze"

di Massimo Solanitutti gli articoli dell'autore

La trattativa fra mafia e Stato proseguì anche nel 1993, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. "Lo stesso Giovanni Brusca ha riferito di una missione affidata a Vittorio Mangano per potersi mettere in contatto con sue vecchie conoscenze al Nord". A rivelarlo è stato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che ieri è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia sulla presunta trattativa che Cosa Nostra intavolò con parti dello Stato a cavallo delle stragi mafiose del 1992-1993. E secondo Grasso la missione affidata a Vittorio Mangano, ai tempi reggente della famiglia mafiosa di Porta Nuova dopo anni trascorsi alla corte di Silvio Berlusconi in qualità (ufficialmente) di stalliere tuttofare nella villa di Arcore, va contestualizzata in quella stagione che nell’autunno del1993 su iniziativa di Leoluca Bagarella portò alla creazione del movimento politico "Sicilia Libera": "Come ha raccontato il collaboratore di giustizia Tullio Cannella, che era stato incaricato di organizzare il movimento politico - ha proseguito Grasso - l’idea era quello di creare un partito in proprio per evitare di farsi prendere in giro dai politici come in passato accaduto a Totò Riina ". Un progetto che ebbe vita breve, ha ricordato Grasso, "abbandonata questa iniziativa si arriva agli eventi noti che portano alle elezioni del 1994 e quindi alla fase attuale".

Frasi che aprono nuovi scenari, specie se lette in relazioni alle ultime rivelazioni fatte dal pentito Gaspare Spatuzza (cui lo stesso Grasso ieri ha fatto un veloce riferimento) e anticipate dal sostituto procuratore generale di Palermo Antonino Gatto nel corso del processo d’appello a carico di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. "Giuseppe Graviano - ha raccontato Spatuzza ricordando una chiacchierata fatta a Milano nel gennaio del 1994 col boss palermitano a proposito di una presunta trattativa - era molto felice, disse che avevamo ottenuto tutto e che queste persone non erano come quei quattro "cristi" dei socialisti. La persona grazie alla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c’era di mezzo un nostro compaesano, Dell’Utri. In sostanza Graviano mi disse che grazie alla serietà di queste persone noi avevamo ottenuto quello che cercavamo. Usò l’espressione "ci siamo messi il Paese nelle mani"". Dopo quell’incontro, ha raccontato Spatuzza, Cosa Nostra diede il via libera per l’attentato (poi fallito) che il 24 gennaio del 2004 allo Stadio Olimpico avrebbe dovuto causare la morte di decine di carabinieri. Una strage, ha proseguito Spatuzza, che sarebbe dovuta servire a "riscaldare" il clima della trattativa.

TRATTATIVA E STRAGI

Ma davanti ai membri della commissione parlamentare antimafia Piero Grasso ha parlato anche della accelerazione impressa dai boss mafiosi alla strategia stragista. Una anomalia, ha spiegato, anche nei modi in cui vennero compiuti gli attentati. "Non c’è dubbio che la strage che colpì Falcone e la sua scorta siano state commesse da Cosa Nostra - ha spiegato Grasso - Rimane però il sospetto che ci sia qualche entità esterna che abbia potuto agevolare o nell’ideazione, nell’istigazione, o comunque possa aver dato un appoggio all’attività della mafia". Che progettava di uccidere Falcone a Roma dove spesso si muoveva senza scorta e minori erano le misure di sicurezza ("Riina inviò nella capitale un commando che doveva occuparsi dell’eliminazione del magistrato, di Maurizio Costanzo, dell’onorevole Martelli e di Andrea Barbato - ha spiegato il procuratore nazionale -ma poi fu proprio Riina a bloccare tutto perché, disse, "si era trovato qualcosa di meglio"") ma che invece optò per l’attentatuni facendo saltare in aria un tratto autostradale con 500 chili di tritolo con una azione "chiaramente stragista ed eversiva". "Chi ha indicato a Riina queste modalità?", si è chiesto Grasso. "Finché non si risponderà a questa domanda - ha proseguito - sarà difficile un effettivo accertamento della verità".

28 ottobre 2009

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